Negli ultimi anni il termine abilismo è emerso e si sta diffondendo sempre più, diventando una parola di uso comune per definire la discriminazione nei confronti della persone con disabilità. Consiste del descriverle definendole unicamente per la loro disabilità e imprigionandole in stereotipi in cui risultano diverse, inferiori. Se spesso sentiamo parlare di razzismo, sessismo e omofobia, tra le discriminazioni diffuse bisogna ricordarsi anche del fenomeno dell’abilismo, che alimenta pregiudizi e tabù.
Le prime attestazioni del termine in italiano risalgono a inizio anni Duemila, quando anche l’ambiente accademico sceglie di occuparsi dei Disability Studies. Eppure è emerso un trend in crescita a fine 2020, quando l’opinione pubblica si è rivolta al problema dell’approvazione del Disegno di Legge Zan. Il DDL infatti riguarda “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Ma capiamo meglio insieme che cos’è l’abilismo e perché è importante combatterlo.
Che cos’è l’abilismo: una definizione
Il termine si sta diffondendo proprio in questi ultimi anni ed è di uso così comune da esserne stata introdotta una definizione dall’Accademia della Crusca. “Discriminazione, pregiudizio o marginalizzazione nei confronti delle persone disabili” recita il dizionario. Di origine inglese, il vocabolo deriva dall’unione di able (abile) e il suffisso –ism (ismo).
Appare per lap rima volta negli anni Ottanta nell’ambito dei Disability Studies, ossia la disciplina scientifica che si occupa della disabilità non solo come fenomeno medico individuale, ma in una prospettiva sociale multidisciplinare (politica, storica, culturale, giuridica, pedagogica). Rientrano nell’abilismo comportamenti di vario tipo, spesso non consapevoli.
Spettacolarizzazione, pietismo e atteggiamenti paternalistici sono esempi di una narrazione abilista, che parte dal presupposto che la disabilità sia necessariamente una tragedia. A far parte dell’abilismo sono sia l’adesione a comportamenti scorretti, sia l’uso di un linguaggio offensivo. Vediamo alcuni esempi.
I comportamenti abilisti
L’abilismo può manifestarsi con un insieme di atteggiamenti diffusi anche quotidiani, spesso non consapevoli. Un esempio è l’utilizzo del bagno riservato alle persone disabili: sembra banale, ma se non si ha nessun tipo di disabilità perché usufruire di un bagno dedicato alle specifiche necessità di altri? Oppure lo scegliere come location di un evento un luogo inaccessibile. In questo modo i partecipanti con difficoltà motorie e in carrozzina vengono automaticamente esclusi a priori.
In generale un comportamento abilista consiste nel guardare alla disabilità come qualcosa di tragico, e a questo spesso contribuiscono tv e film che alimentano negli spettatori un sentimento di pietismo. Trattare una persona disabile come un bambino sottintende la convinzione che non capirà niente a prescindere da cosa venga detto.
Un altro modo di discriminare è tramite il cosiddetto “inspiration porn”. Si tratta di una visione pietistica della rappresentazione delle persone con disabilità che diventano fonte di ispirazione proprio per la loro disabilità. Sono trasformate in creature straordinarie anche nel compimento di azione quotidiane e del tutto ordinarie. Il paternalismo dipende dalla credenza comune che vede le persone con disabilità totalmente dipendenti, non autonome. Così si cerca freneticamente di aiutarle, come se non riuscissero a cavarsela da sole, anche se le attenzioni non vengono richieste.
Insomma, per dare una definizione quanto più generale possibile, un atteggiamento abilista tende a ridurre una persona alla sua disabilità, privandola di complessità. Così diviene il suo deficit, la sua carrozzina, il suo cane guida, il suo apparecchio acustico. Questa è a tutti gli effetti una oggettificazione, che deve finire.
Che cos’è l’abilismo: il linguaggio abilista
L’abilismo si manifesta spesso non tramite atteggiamenti, ma con l’utilizzo di un linguaggio scorretto o volutamente offensivo. In realtà oggi è difficile che qualcuno venga preso in giro apertamente per via della disabilità, eppure la discriminazione c’è, latente. È possibile per esempio manifestare un linguaggio abilista tramite metafore, in cui la disabilità sembra esprimere qualcosa di negativo. Ripetere frasi come “sei sordo?” o “sei ritardato?” non fa che alimentare la visione tragica della disabilità.
Altri termini discriminatori sono quelli che vedono la disabilità come una manchevolezza, un difetto. Parlare di “non udenti” o “non vedenti” per esempio significa cercare di addolcire una privazione senza accorgersi in realtà di indirizzare ancora di più l’attenzione sulla diversità. Ciò allarga il gap socialmente costruito tra le persone disabili e quelle non disabili: infatti è sempre meglio trovare un termine preciso anziché definire qualcuno con una negazione. Sarebbe come dire “sono non basso”!
Infine è bene fare attenzione a come ci rivolgiamo alle stesse persona con disabilità. La disabilità infatti non è una malattia, una patologia. Se impareremo a non vederla come tale smetteremo finalmente di adottare a tutti i costi un atteggiamento assistenzialistico non richiesto e non necessario. Dunque non eroi, non angeli, non combattenti, non guerrieri. Semplicemente persone con disabilità.
Come sconfiggere l’abilismo
L’abilismo è una forma di discriminazione ancora molto diffusa soprattutto perché radicata nella nostra quotidianità, nelle nostre abitudini. A volte assumiamo un atteggiamento o un linguaggio abilista senza neanche accorgercene, pur non volendo. Per questo è fondamentale, per combatterlo, anzitutto parlarne.
Siamo tutti esseri umani e per questo tutti, con o senza disabilità, dobbiamo batterci per una società più inclusiva, dove nessuno si senta discriminato. Per farlo è necessario essere ben informati, curiosi di apprendere ciò che non si conosce. Solo così riusciremo a metterci gli uni nei panni degli altri e incrementare il rispetto reciproco. È tempo di impegnarsi di più.